Abate Dom MAURO MEACCI

Abate Monastero benedettino di Subiaco

 
Credo che la Comunità sia un grande segno. Mi pare proprio che era S.Vincenzo de Paoli a dire che: “un segno per capire quando le cose vengono da Dio è che si fanno da sole”. 


La prima testimonianza che io potrei offrire è questa “facilità”, questa “spontaneità”, anche se capisco bene e voi tutti capite bene, che dietro questa facilità, questa normalità, questa spontaneità, c’è il lavoro, la fatica, il sacrificio di tutti . Perchè il cammino che la Comunità offre non è un cammino facile, né prevede sconti. 
La Comunità non è un gruppo di persone che vive ripiegato su se stesso, che magari si lecca le ferite, o che si compiange a vicenda. È un gruppo di persone che va alla ricerca di “qualcosa”
Probabilmente, in alcuni, neanche è percepita questa ricerca; comunque si tratta della ricerca di un qualcosa che poi darà un senso, che farà quadrare molte caselle della propria vita. La struttura, gli orari l’idea di una vita comunitaria in cui qualità del lavoro, della vita quotidiana, vengono profondamente condivise con gli altri, senza che le persone ne vengano a soffrire. Aiutarsi, in una dialettica di aiuto reciproco. Quando non ce la faccio da solo, so che posso contare su di un altro. 
Ma di tutte queste cose, quello che mi ha sempre colpito in una maniera quasi scioccante sono gli incontri di verifica dove a partire dalle cose accadute durante la giornata, a partire dalle relazioni che si sono realizzate o meno, ci si viene a confrontare, quasi misurarsi. 
Francamente, le prime volte, io rimanevo un po’ imbarazzato e preoccupato perchè pensavo: “entrando in questi argomenti in questa maniera va a finire che volano i piatti!”, e seguivo lo sviluppo delle situazioni sempre con una certa preoccupazione.
Nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, affrontare con tanta verità problematiche di relazione, significherebbe sistematicamente litigare, sistematicamente dividere; scoprire invece che  qui, questa dinamica si svolge, sì nella verità, ma anche nella responsabilità, sapendo che la parola detta è qualcosa che aiuterà l’altro a progredire, per me è stata una meravigliosa scoperta.
Molte volte ho detto anche a loro, “come vorrei che in una comunità “normale” potesse accadere questo”. 
Anche la disponibilità, l’accoglienza sono aspetti che mi hanno sempre colpito. 
In qualsiasi momento arrivi ti accorgi che l’uno o l’altro è pronto ad accoglierti, cosa che non sempre accade altrove.
E questi sono gli elementi positivi che mi hanno fatto ritenere che la scelta di aver collocato una comunità di questo tipo, in un luogo dove nei secoli si sono succeduti intere comunità monastiche, non è stata una scelta dettata dal fatto che l’eremo era vuoto, ma una scelta che risaltava la qualità spirituale di quel luogo, nello sforzo di un qualcosa che stà al di là di noi stessi; la possibilità di ricostruire la nostra vita e soprattutto la possibilità di ricostruire relazioni interpersonali, veramente positive, veramente utili per tutti. E allora io sono ben contento che in questo eremo dei monti Simbruini vivano persone di questa Comunità!

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