ALLE FAMIGLIE: "EDUCARE nell'AMORE"

(da una trascrizione del 25 Marzo 2009)

 

 "Nell’esperienza dell’amore quando due persone si incontrano è per quel qualcosa che li ha colpiti l’uno dell’altro. Li ha stupiti!

 

La famiglia quindi nasce da questo stupore iniziale, dove l’uno stupisce l’altro per il dono che è, ed ognuno può crescere nel senso del dono perché la persona appare nella sua unicità e irripetibilità!
Nessuno è all’origine della loro esperienza, del loro incontrarsi, per questo è dono, gratuito!

Questo stupore, che è all’origine dell’incontro, permane e si approfondisce con la nascita di un figlio.
Passare dal Dono alla responsabilità di questo dono, soprattutto nei momenti difficili, stimola ad una capacità di amore puro e gratuito, all’interno del quale i rapporti si fanno più profondi e liberi.
Uno dei compiti essenziali della famiglia è quindi quello di custodire e alimentare questo stupore, che è a sua volta all’origine di atteggiamenti di delicatezza, di positività e soprattutto di attenzione alla crescita interiore di tutti i suoi componenti.
È quando si sente amata così, come un dono, che la persona può accettarsi per quello che è, oltre i suoi limiti! E l’esperienza del limite è connaturata all’essere umano. Quando i limiti – fisici, psicologici, comportamentali – non sono accolti ed integrati in un amore più grande di essi, la persona comincia a viverli come disagi e da questo possono nascere atteggiamenti di chiusura, di compensazione o anche di rifiuto della propria realtà.
Anche per questo, quindi, l’aspetto educativo è uno dei compiti più importanti della famiglia.

Educare non è solo trasmettere conoscenze ed esperienze di vita, ma prima di tutto significa aiutarsi perché ognuno cresca e maturi come persona. In particolare i genitori devono assumere questo compito nei riguardi dei figli.
I valori, come il rispetto, la fiducia, il senso di responsabilità, richiedono di essere trasmessi senza imposizioni, facendone sentire il gusto e l’importanza: infatti i valori non esistono in un vuoto o come comportamenti indotti. Essi esistono “dentro” una persona che li vive come aspetti centrali, e non marginali, della sua vita.
Perché questa interiorizzazione avvenga, è importante che all’interno della famiglia ognuno sia aiutato a maturare e a crescere come persona nel rispetto della propria autonomia.
È così che, con pazienza e benevolenza, il giovane può essere educato a maturare relazioni positive e rispettose per ognuno, anche diverso per razza, età o cultura.
È il senso sacro della vita, che attraverso fiducia e amore può aprirsi a un mistero più grande, che è il mistero della persona, unica e irripetibile, e perciò sempre da rispettare, ma anche bisognosa di relazioni profonde e significative, proprio a partire dall’ambito familiare, per poi allargarsi alla scuola, al lavoro e alla società nel suo insieme.

Il senso di responsabilità emerge, quindi, non tanto in relazione ai compiti e ai ruoli che ciascuno ricopre, ma nella comune responsabilità del bene che si desidera per l’altro; un bene che per diventare concreto ha bisogno di atteggiamenti pratici di ascolto, di perdono e di condivisione.
Questa dignità di ciascuno può riconoscerla pienamente chi si sente amato per se stesso e non tanto per ciò che in una data situazione riesce a dare o ad esprimere. È così che il giovane può, nella sua libertà e nella maturità della sua età, scoprire che c’è un “di più” di impegno, di rispetto, di fiducia che lo interpella là dove si sente amato gratuitamente, e lo porta a ridare agli altri ciò che riceve e che lo fa sentire “dono” per se stesso e per gli altri intorno a lui.

Diventa così possibile un altro aspetto fondamentale dell’educazione, che consiste nella capacità di incontrarsi con la realtà, riuscendo progressivamente a percepire e ad interiorizzare il significato che la stessa realtà richiede, e questo soprattutto nei momenti difficili. Senza amore gratuito, infatti, il rapporto con la realtà rischia di assumere solo la forma di un “dover essere”, di fronte al quale i limiti di ciascuno diventano inadeguatezza e senso di colpa o di ribellione.

In famiglia ognuno vorrebbe la felicità per l’altro, ma questa non dipende soltanto dall’amore reciproco; una condizione che può certamente favorire questa felicità è appunto educare ad un senso di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Compito primario della famiglia, perciò, è far sentire ai figli che loro non appartengono solo ai genitori ma all’umanità intera per vivere non da egoisti, fagocitatori di materialismo, ma da persone libere, quindi sempre più col gusto di ciò che è vero, di ciò che è bene, di ciò che è bello.
Tutto questo è difficile, in una cultura sociale che sembra spingere in tutt’altra direzione; ma è possibile se la famiglia svolge la sua funzione educativa prima di tutto trasmettendo rettitudine e benevolenza.

L’esperienza della Comunità in Dialogo ci conferma, infatti, nella convinzione che questi due atteggiamenti, proposti nella libertà e così interiorizzati sempre più dalla persona, fondano la sua identità (la rettitudine si attua realizzando “in situazione” il Bene che riconosco dentro di me) e la sua relazionalità (la benevolenza nasce dalla consapevolezza del Bene che è nell’altro di fronte a me).
In tal modo, la famiglia contribuisce a fondare nel giovane un’idea positiva e libera di sé, in relazioni libere e liberanti con gli altri: e la società ha un grande bisogno di persone capaci di sentire e di ridare l’amore.

p. Matteo Tagliaferri

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