LUCA VETTESE

Ho bussato alla porta di P. Matteo meno di un anno dopo la morte di mia madre, accaduta davanti ai miei occhi in seguito all’ennesima mia ricaduta nella droga.

 

         Avevo 24 anni, ma, nonostante la giovane età, la vita mi aveva già reso vecchio e spento nell’anima: l’inferno aveva avuto inizio quasi dieci anni prima, nelle aule di un Liceo, solo per sentirmi grande quanto i miei amici.

         La scelta di entrare in una comunità non è stata facile, ero già passato per una mezza dozzina di psicologi e psichiatri, ma dentro di me ogni volta sapevo che era l’ennesimo gesto per tranquillizzare mia madre.

         Poi l’incontro con P. Matteo… una mano che mi accarezza il volto ed il suo sguardo rassicurante… sembrava dirmi: “non aver paura, andrà tutto bene”. E la speranza la vedevo realmente nei volti dei ragazzi che incontravo, tutti volti sereni e sorridenti, mi sentivo l’unica persona triste in quel momento, avrei voluto essere al loro posto.

         Ma poi le mie angosce, la voglia di distruggermi… finché un giorno, il giorno di Natale del 1997, appena aprii gli occhi, prima ancora di avere il tempo per “rispegnermi”, nella frazione di un attimo, tutta la mia vita mi è trascorsa nella mente… e quella non era più la mia vita, non quella che avevo sempre immaginato. Nessuno può desiderare una vita così.

         Così mi buttai in ciò che non conoscevo ma che intuivo essere totalmente diverso da quello che avevo vissuto fino ad allora…

         L’accoglienza che ho ricevuto è stata senza eguali, per la prima volta dopo anni ed anni mi sentivo tra persone che mi stimavano, mi rispettavano ed erano lì per aiutarmi, perché condividevano la stessa lotta. Non c’erano professionisti dietro una cattedra, ma persone come me. Ascoltavo le loro parole e mi sembrava di parlare con mio padre. Ed ogni volta che mi scoraggiavo, che sentivo la fatica ed il sacrificio, ogni volta che pensavo che tutto ciò non aveva senso, ripetevo a me stesso che comunque era “altro” rispetto alle cose che riempivano la vita di prima.

         P. Matteo, gli operatori e tutti gli amici di cammino… qualcuno purtroppo non c’è più… sembravano urlarmi che era possibile cambiare il mio stile di vita, che misteriosamente esiste una strada da percorrere per non sentirmi sempre inadeguato alla vita, che anche il mio cuore e la mia mente alla fine avrebbero trovato un senso nel cuore e nella vita dell’esistenza.

         Tanti anni insieme ancora a cercare il senso ultimo, con tante sconfitte e con altrettante vittorie…dove si arriva sembra di dover iniziare di nuovo! I professionisti del servizio sociale lo definiscono “circolarità del metodo sociale”… personalmente lo definirei il mistero e l’ansia di trascendenza della creatura “uomo”. Ognuno è unico ed irripetibile ( P. Matteo).

         Una ricerca di “altro” che non è mai abbastanza fino a quando la mia mente non dice, pericolosamente, che è “abbastanza”. Che siamo arrivati oltre, senza renderci conto che non siamo arrivati a niente.

         Cosa vorrei comunicare adesso:

  • la mente, come la scienza, sa di non poter esplorare il Tutto e se il tutto materialmente è infinito non riusciremo forse ad andare oltre poco di più del nostro sistema solare;
  • alcuni (pochi luminari) credono che sia vero ciò che Einstein affermò alla fine della sua esistenza: che egli per tutta la vita aveva cercato di esplorare il giardino dell’universo, ma sempre con l’occhio attento a ricercare l’opera del giardiniere;
  • come si possono spiegare i fattori umani solo da un prospettiva scientifica che predilige ancora (ancora!!! Dal 1700) il metodo empirico… con dati, ahinoi, sfalsati?
  • il disagio della civiltà, dei giovani in primis, è un dramma, non un fattore problematico!
  • ed esso non è un problema bio-psico-sociale: a mio parere fallirà ogni teoria e terapia evoluzionistica, pur essendo il sottoscritto un estimatore delle teorie di Darwin e Mac Dougall;
  • non è un problema psico-individuale, e con tutto il merito della psicologia individuale e della psicoterapia e della psicoanalisi e ………….. sono un sostegno ed un aiuto, ma circoscritti nei propri ambiti, non sono l’uomo nella sua totalità, l’uomo che è “altro”;
  • la dipendenza resta un fattore sociale, per cui solo il “contesto gruppo” è in grado di agire per persuadere una persona in disagio a cambiare completamente tutta la scala dei valori di “una vita”. Un gruppo che prende le dimensioni dell’intimità, della famiglia, della condivisione totale… nella gioia e nel dolore. Proprio perché intrisi dei tratti indelebili dell’evoluzione noi esseri della specie umana avremo un senso compiuto nella solidarietà del gruppo, del contesto, della famiglia, della scuola, della società. Come ho spesso ascoltato dalle parole di P. Matteo: “è una società intera che deve interrogarsi sul problema della dipendenza!”. Dove “intera” vuol significare tutti, anche chi crede di non appartenere a questa povertà!
  • che non è assolutamente vero che i giovani di oggi hanno perso i valori della vita, ma che, invero, la società di oggi ha loro trasmesso modelli vecchi di valori (all’incirca dal 1700… terra, possesso, forza, individualismo…) ed essi stessi si interrogano su dubbi e problematiche che hanno ereditato dal mondo adulto (ad esempio i valori di famiglia, fede, politica, pace…);
  • che la globalità è una parola fraintesa ed associata solo ai giovani del 2011… ma che la predicava già Gesù Cristo 2011 anni fa… forse è ciò che ne fanno oggi gli adulti a doverci spaventare;
  • che non si educa e non si insegna senz’anima e che chi è chiamato ad educare ha il dovere di porsi come una persona che incontra altre persone, in difficoltà ma non peggiori;

 

   Con queste poche righe non voglio assolutamente, e neanche credo di essere minimamente in grado di farlo, screditare la scienza ed il suo metodo, ma dalla mia esperienza e dalla mia lotta per uscire dalla tossicodipendenza so che essa può essere solo una parte del processo di aiuto, che va integrata con lo spirito. E’ un errore mortale confidare soltanto in essa e mettere da parte o tentare di negare che l’uomo è anche anima e spiritualità ed è forse proprio lì che sono le più grandi ferite e le più grandi povertà.

                                                  

                                                                                                                                Luca Vettese

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