2006

Servizio del TG3 Lazio del 19 giugno 2006 sulla Comunità in Dialogo

Religioni a confronto

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Depliant del 15° anniversario della Comunità in Dialogo

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In occasione del quindicesimo anniversario della Comunità.

 Domenica 18 giugno in occasione del quindicesimo anniversario della Comunità In Dialogo, ci sarà il primo incontro interreligioso intorno al problema delle sostanze, fra il rabbino capo di roma professor Di Segni, un delegato del centro culturale islamico di Roma, la dottoressa El-Jaouzi Touria, Mons. Francesco Lambiasi direttore generale dell’Azione cattolica Italiana e l’intervento del cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita Consacrata, nonché membro del pontificio consiglio per la cultura.
Sulla dichiarazione del Professor Veronesi a proposito delle “stanze del buco” secondo cui le stesse abbasserebbero il numero dei decessi e consentirebbero comunque una partecipazione alla società civile, Padre Matteo Tagliaferri osserva: “esprimo il mio doloroso stupore per le dichiarazioni del Prof. Veronesi oncologo di fama mondiale, che più di ogni altro dovrebbe conoscere la sofferenza e il dramma di una vita menomata.
Le “camere della droga” costituiscono solo il mezzo con cui la società opulenta e mutilata rifiuta di affrontare le sue responsabilità in ordine alla tossicodipendenza, che non è scelta libera ma disperata emarginazione, le camere che chiamerei della morte propongono un simulacro d’uomo senza dignità a cui si da l’illusione di una normale vita, purché non disturbi il manovratore. Prendiamo in considerazione quanto hanno espresso alcuni operatori della Comunità in Dialogo ex tossicodipendenti, dopo aver letto alcuni articoli sulle dichiarazioni del prof. Veronesi e del Ministro Ferrero.
“Vorremmo capire su quale criterio di bene nasce la proposta e l’assenso alla “stanza del buco” dove ad una “persona” si permette con il vostro dotto controllo di continuare a fare ciò che annienta la sua dignità e che è causa della sua morte prima che fisica è gia morte interiore e sociale. Sappiamo che il problema della dipendenza non è affatto diminuito anzi orribilmente in grosso aumento.
La cultura e la società di oggi tende a mascherare il disagio giovanile più che ascoltarne la voce che ci indicherebbe la strada da seguire.
Si offrono soluzioni che spengono la speranza dei tanti giovani che si impegnano in un recupero della propria dignità e che con fatica cercano diversamente di rispondere ad una società che gli si è mostrata sempre indifferente.
È più facile legalizzare “una condanna a morte” per chi inconsapevolmente muore giorno dopo giorno e tutto questo perché non si ha il coraggio di affrontare e ripensare una speranza alla vita.
Il pensiero del prof. Veronese sottolinea le cause di una persona che vive la tossicodipendenza, ma crediamo che trascuri del tutto l’aspetto più importante “la persona nelle sue risorse migliori”.
Tale soluzione non responsabilizza la società già mascherata nel proprio disagio, avendo ormai perso i valori fondamentali che la rendono umanamente partecipe all’uomo, a ogni uomo che grida il proprio dolore qualsiasi esso sia! Constatiamo purtroppo che ormai sono tanti gli appianamenti che si offrono per affermare un sistema accomodante, piuttosto che dare risposte che salvaguardino l’uomo nella sua dignità”.
Padre Matteo Tagliaferri     

La Comunità in Dialogo compie 15 anni

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Messaggio di Padre Matteo per il 15° anniversario della Comunità in Dialogo

L’ esperienza di questi quindici anni dice che non c’è “limite di non ritorno” sul problema della dipendenza da sostanze, purché si affronti insieme, attivando le migliori forze umane e le competenze, e si tengano presenti a mio avviso alcune considerazioni:


● le sostanze di abuso creano dei danni a livello fisico e psichico: ciò è reale ed è ormai cosa acquisita anche scientificamente. D’altra parte chi viene in Comunità arriva molto provato non solo a livello fisico ma anche e soprattutto con degli handicap comportamentali, ridotto negli spazi di autonomia e di libertà, e come spento dentro.
● Ottenuta la disaffezione dalla sostanza si affronta il problema per quello che è: la persona è messa in grado, dal contesto educativo della Comunità, di attivare quel processo di maturazione “da protagonista”, la cui mancanza o inadeguatezza è stata alla base del disagio psico-sociale che ha spesso portato all’uso delle sostanze.
● La terza considerazione, la più impegnativa che coinvolge tutti noi che viviamo la nostra epoca, è l’impegno etico che ci porta ad ascoltare, più che i problemi, soprattutto gli interrogativi che i giovani pongono dalla loro sofferta situazione.
Ascoltare chi esce dalla dipendenza significa accoglierne la consapevolezza critica, che mette in crisi ciò che della cultura generale è stato alla base del loro disagio.
Non accoglierne il grido di dolore, ci fa eticamente responsabili del futuro che rimarrebbe buio per le prossime generazioni. Perciò siamo nella necessità di operare un ripensamento a tutti i livelli, civili, istituzionali, religiosi, culturali, ecc.
A questo ci costringe il fenomeno della droga a livello planetario; è come una svolta che tutti dobbiamo perseguire insieme, quanti hanno a cuore il futuro dell’uomo: è certamente una svolta per una esperienza di miglioramento qualitativo della nostra umanità, che sembra invece attardarsi solo nella ricerca di miglioramenti tecnici ed esteriori: è questa mortale “distrazione da se stessi” e dalle dimensioni interiori dell’uomo che crea disagi alla persona, (in famiglia come in società) e la rende inadeguata a vivere.
A questo proposito vorrei proporre al convegno del 15º anno di Comunità almeno due convinzioni che ho maturato in questi anni, ascoltando ciò che ha ridato “senso” alla vita dei tanti giovani che sono usciti dalla dipendenza, e che ha reso possibile in Comunità una convivenza positiva e umanamente ricca, tra culture, razze più diverse e di condizioni più disparate.
● Sono convinto che la dipendenza a livello planetario rivela all’uomo la sua radicale povertà: è la verità di tale realtà che fa l’uomo uguale e bisognoso l’uno dell’altro. Ciò vince quella pretesa di idolatrare se stessi con le conquiste soprattutto tecniche, che fa vivere estranei a sé e agli altri, perdendo il senso del limite (creaturale).
La scienza stessa, necessaria all’uomo, tuttavia può essere perseguita dall’uomo stesso come l’assoluto in cui trovare tutte le risposte.
È partendo dalla evidente realtà dei limiti che l’uomo è chiamato a trovare le risposte che gli permettono di migliorare se stesso e aprirsi all’aiuto reciproco. Ma ciò comporta pure che l’orizzonte significativo dell’uomo è anche oltre se stesso, non solo come sviluppo delle sue potenzialità, ma come il “Mistero”, il Tu divino, a cui l’uomo da sempre aspira e che trascende la sua natura pur così studiata come non mai.
Ho avuto sempre molto rispetto per ogni persona accolta in comunità, che credesse o no che fosse ebreo o cristiano, musulmano o altro, ma ho riconosciuto e rispettato sempre in lui tale dignità umana che si coglie più con lo stupore piuttosto che con lo studio.
● È proprio per questo che dovrei ora parlare dello stupore di ogni momento e di ogni giorno nel nostro vivere la Comunità: i risanamenti fisici e psichici, le rinascite di coscienza capaci di un positivo incredibile in situazioni altrettanto incredibili. Ho assistito a canti di vita in chi sentiva reale ormai la morte.
Sarebbe ugualmente possibile – mi sono domandato – senza un’ esperienza di fede? Penso di no.
Ma è la fede che risponde anche alla mia povertà, che è reale come quella di ogni altro che viene in Comunità, la fede che può racchiudere anche i tanti, i troppi fallimenti che pure non sono mancati nell’esperienza di questi 15 anni di storia: è la fede in un Amore “Altro”, che trascende, ma che pure ci viene quotidianamente partecipato, e che rimane il “Mistero” e il “Senso” della Vita stessa, vertice ed armonia di tutti i dinamismi della persona e della storia.
“Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai…” una frase di Marcel che mi colpì da giovane.


Padre Matteo Tagliaferri 

L'Arma dei Carabinieri vicino alla Famiglia

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I Carabinieri vicino alla Famiglia.

Incontro del 19 maggio 2006.

Premessa:
Vorremmo ripartire dall’”umano”: come ciò debba caratterizzare ogni intervento sociale, fatto sia dalle Istituzioni e da altri Servizi. Infatti gli effetti dell’abuso di sostanze sono l’espressione massima dell’ esasperato materialismo, procurato da una cultura mutilata di trascendenza che produce il “vuoto di umano” nella persona e quindi nella società stessa; è una atrofizzazione delle dimensioni spirituali e sociali dell’uomo.
È possibile essere a servizio della legge e del suo spirito se ci si limita al necessario intervento di contrasto a ciò che le è contrario, senza sentire il dovere etico di dare un contributo perché la persona e quindi la società, siano salvaguardate nel loro benessere globale?.
Ogni intervento da parte di una persona o Istituzione è parziale se si ferma alla sua funzione; questa è sempre svolta da una ‘persona’ che in essa deve sentire la “responsabilità globale” nella funzione che svolge.
È proprio l’Alto Compito Sociale e Istituzionale che oggi interpella a pieno il ruolo dei tutori dell’ordine: diversamente rischiamo anche noi di collaborare a creare, quel disagio sociale umano che tutti ci interpella e che ci tocca già come semplici cittadini, come padri, come figli, come persone.
È una domanda di significato pieno alla vita che i giovani che cadono nella dipendenza della droga ci chiedono; prima che porci problemi legali, sociali, medici, psicologici e politici, essi pongono domande al mondo adulto che ha la responsabilità di cogliere tali richieste: L’ONU parla di riduzione della domanda; là dove si gestisce prevenzione, educazione, scienza, ordine sociale, si ha il compito di produrre apporti civili per ogni figlio dell’uomo che nasce in questo mondo.
Per cui chi è nella dipendenza (insieme alla propria famiglia) ha bisogno in sostanza:
1. di capire che nella vita non si può fare tutto ciò che si vuole (questo è la “funzione” del tutore dell’ordine);
2. e che si intervenga in modo da far sperimentare rapporti pienamente umani, la cui mancanza sono spesso causa al disagio dei giovani.
Necessita quindi, da parte di tutti, l’impegno:
- a favorire relazioni umane profonde;
- a rendere evidenti i valori civili di cui la persona, nel proprio disagio, ha bisogno di esperimentare;
- ad assumere ciascuno oggi la responsabilità etica perché il futuro sia diverso per tutti i giovani di domani


Padre Matteo Tagliaferri
Trivigliano, 30 aprile 2006    

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Il Capo Rabbino di Roma in visita alla Comunità in Dialogo

L’Alto esponente ebraico ha visitato la Comunità In Dialogo.
Il Rabbino Di Segni da Padre Matteo: "Dipendenza, problema che bussa alle porte di tutti."
"Il problema della tossicodipendenza è un interrogativo per il mondo intero, che rileva la povertà delle dimensioni interiori dell’uomo, della spiritualità, ma che certamente è un aspetto fondamentale della nostra vita".
Con questo parole è iniziato l’incontro tra padre Matteo Tagliaferri, fondatore della Comunità in Dialogo, e Riccardo Di Segni, capo rabbino di Roma. "La scienza cura la nostra natura - ha detto padre Matteo - ma l’uomo è qualcosa che trascende dalla sua natura, qualcosa di irripetibile. Noi vogliamo proporre il modo di affrontare insieme questa problematica ormai mondiale.
Bisogna ritrovarsi insieme e riflettere sul fatto che se la scienza e la spiritualità hanno un’importanza preponderante, anche lo sforzo umano va considerato tale quando è teso a restituire certe dimensioni all’uomo.
La presenza del Rabbino Capo è per noi importante. Ci dà modo di conoscere la spiritualità che in questo contesto assume". E’ poi intervenuto Riccardo Di Segni: "Sono particolarmente emozionato di essere qui con voi. Quando ho conosciuto padre Matteo ho colto l’occasione per comprendere che era ora che mi immergessi più profondamente in questo tipo di problematiche. Una tematica, questa, che bussa alle porte della nostra comunità, come in quelle di qualsiasi altra. Un problema che non ha confini di appartenenza sociale, che coinvolge tutti e che tutti richiama al proprio dovere.
Il mio arrivo a Trivigliano vuole essere soltanto la visita di uno studente che vuole vedere, imparare ad ascoltare, ad apprendere sul campo la vera realtà dei problemi. Colgo una bellissima sensazione in questo luogo dove si respira la speranza. Avverto la possibilità che viene data a ciascuno, a chiunque abbia imboccato un tunnel e di vedere che in fondo al tunnel c’è una luce per tutti, per chi sta dentro e per chi è chiamato a tirarla fuori.
C’è una speranza reciproca, un arricchimento dei valori, nelle parole di padre Matteo, che condivido completamente. Emerge la necessità, in ogni momento della nostra esistenza, di scoprire che c’è qualcosa di più alto, perché nella nostra vita siamo trascinati e sedotti continuamente e non ci rendiamo conto che la nostra esistenza giorno per giorno si svuota sempre di più.
Invece la nostra vita è un dono eccezionale che non dobbiamo buttare via. Dobbiamo crescere, bisogna aiutare chi non riesce a farlo e attraverso questo aiuto cresciamo anche noi. Quello che voi state facendo nella comunità è un grande esempio per tutti".
Antonio Tajani, intervenuto all’incontro tra padre Matteo e Di Segni, ha evidenziato l’importanza di questo scambio di opinioni: "A volte è necessario avere il coraggio di rimettersi in discussione, di iniziare un percorso, magari difficile, per ritrovare e aiutare a ritrovare quei valori che questa società spesso disperde."
Stefano Casini

La Comunità In Dialogo in collaborazione con la Colombia

07/02/06

 

"Nelle sue parole troviamo l'amore ed il calore che caratterizzano un uomo di Dio".
Così si esprimono i giovani colombiani che Padre Matteo è andato a trovare.
Ancora una volta, nella storia della Comunità In Dialogo, Padre Matteo non sa dire di no a coloro che si rivolgono a lui, desiderosi di conoscerci e di fare esperienza di vita con noi.
Il 7 febbraio 2006, Padre Matteo, in risposta agli insistenti inviti colombiani, da parte di Suor Nohemy e dei suoi collaboratori, si è recato a Bogotà con due dei nostri operatori che già operano in Perù, Giancarlo e Mirella.
Padre Matteo è rimasto colpito dalla accoglienza degli amici colombiani e racconta con commozione l’intensa giornata che ha condiviso con loro. In breve ospiteremo nella nostra Comunità, due giovani colombiani nel Centro del Perù e altri due verranno in Italia, probabilmente accompagnati da un’assistente sociale ed una psicologa.
E-mail ricevuta l’11 febbraio 2006 dalla Colombia Da parte di Suor Nohemy, Figlia della Carità e dai suoi giovani Padre Matteo:
"È stato per noi una gioia grande la sua visita; è stato un segno di speranza per continuare avanti con questo servizio. Grazie per le sue parole, grazie per la sua fiducia, grazie per la presenza di Giancarlo e Mirella. La comunità, l’equipe ed i ragazzi la ringraziano per la sua visita. È stato il passo della Provvidenza, per il programma. Che l'Onnipotente ci aiuti ad incoronare questo programma."
Da parte dei giovani: "Dalla sua visita al nostro paese furono molti i sentimenti gradevoli che ha seminato tra noi e nei nostri cuori: la speranza e l'ottimismo accompagnano ora più che mai il nostro vivere. Tramite lei abbiamo ricevuto la risposta del Signore, mediante l'opportunità che lei ci offre di comunicare e di vivere il processo di interiorizzazione della Comunità In Dialogo. Sono tante le aspettative che desideriamo realizzare, in Italia e in Perù. Nelle sue parole troviamo l'amore ed il calore che caratterizzano un uomo di Dio. Sappia in anticipo che le nostre energie saranno disponibili per vivere la dinamica che ci offre questa nuova esperienza che si apre oggi per noi. Si senta d'ora in poi accompagnato dal nostro più sincero sentimento di gratitudine e delle nostre costanti preghiere al Signore per la sua salute e il suo benessere.
Aspettiamo con ansia la possibilità di un prossimo incontro dove poter esprimere i frutti dei semi che ha seminato in noi. Che il Dio dell’amore benedica enormemente la sua persona e quella dei suoi collaboratori per questo fraterno ed altruistico proposito."
I giovani Colombiani che viaggiano in Italia e Perù.   

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